Avremo modo di parlarne meglio in un’apposita lezione su piani, campi e movimenti di macchina. Uno dei gruppi però si è posto il problema se e come sia interessante passare da soggettiva a inquadrature oggettive in un contesto narrativo.
Per portarvi avanti, vi consiglio di leggere il capitolo dedicato nel libro di testo, da cui estrapolo giusto due frasi: “Il movimento di macchina in soggettiva (in genere la soggettiva) serve a fare in modo che lo spettatore si identifichi completamente con il personaggio. Nel caso di una soggettiva dinamica, la macchina imita le azioni del personaggio […] Scegliere un’inquadratura piuttosto che un’altra è un fatto estetico e/o attiene al gusto personale” (da “La chiave del cinema DUE” di au.) e aggiungerei che è un fatto che attiene alla significanza. Qualsiasi scelta nell’ambito di un film deve voler dire qualcosa e deve essere funzionale alla nostra precisa narrazione.
“La chiave del cinema DUE” è un libro vivo, uno strumento: è fatto per essere utilizzato, più che studiato.
Di seguito un esempio tratto da Psyco (A. Hitchcock, 1960) in cui si alternano con molta semplicità “inquadrature oggettive” a “soggettive”: